“Scalare l’autismo”. Intervista ad Anna Herd Smith, dello STARWALL Climbing Park Roma

Qualche tempo fa, durante un incontro allo “Spazio Ascolto” di ANGSA Lazio, una mamma ci ha raccontato con molto entusiamo che il figlio autistico stava svolgendo una “particolare” attività sportiva: l’arrampicata presso lo STARWALL Climbing Park con il progetto “Gli ArrampicABILI” di Anna Herd Smith.

Le abbiamo quindi chiesto di poter condividere con noi questa esperienza attraverso una intervista, che troverete sotto riportata, appunto all’ideatrice del progetto, ovvero Anna Herd Smith. Prima però riteniamo utile chiarire, per evitare fraintendimenti, che non stiamo proponendo l’arrampicata come strumento terapeutico per l’autismo ma come una possibile attività sportiva che anche le persone nello spettro dell’autismo possono intraprendere (sempre che gli piaccia e lo vogliano fare!) se supportate da persone qualificate. Non crediamo che a questa attività, come altre attività ludico-sportivo, debba essere riconosciuta una specificità tale da rientrare in convenzioni pubbliche: abbiamo feedback positivi anche da esperienze diverse, come la pallacanestro, il baskin, il calcio, il rugby, il golf , etc. Crediamo invece che le attività gradite alle persone nello spettro, ma volendo generalizzare a tutte le persone con disabilità, dovrebbero essere finanziate nell’ambito del budget del progetto di vita personalizzato (come indicato nell’art.14 della legge n. 328/00 ) in modo che la persona possa svolgere attività gradite e che rispettino le sue attitudini e volontà e non che sia la persona a doversi adattare a quello che c’è solo perché è un’attività in convenzione.

Buona lettura!


Avere una visione significa saper immaginare un percorso dove gli altri non si avventurerebbero mai; un mondo di possibilità laddove gli altri vedono un muro insormontabile: pensare di scalare quel muro. A volte ci vuole intuito, genio; altre volte un pizzico di fortuna. Ma avere la visione non basta per metterla in pratica – per quello ci vogliono costanza, tenacia, determinazione e preparazione. La storia di Anna Herd Smith è emblematica in questo senso. Toscana, una laurea in biotecnologie e la passione per l’arrampicata, Anna mi racconta come, stanca della routine di laboratorio, è arrivata a concepire un’idea in apparenza folle, cambiando così la sua vita e quella di molti ragazzi: unire arrampicata e autismo.

Pochi giorni prima di trasferirsi a Torino, l’incontro decisivo con un’amica del padre bloccata sulla sedia a rotelle; lei le racconta di aver fatto downhill a Sestriere con il gruppo Freewhite e di aver provato emozioni incredibili. “Perché non lo fai anche tu con l’arrampicata?” le chiede. Anna percepisce il potenziale di questa intuizione. Mi dice di aver pensato intensamente: “Diamine, questo sorriso io lo voglio rivedere!”

Una volta a Torino, prende velocemente il brevetto di istruttrice di arrampicata avendo già di suo 12-13 anni di esperienza in parete e inizia a informarsi su come lavorare con le disabilità. Le consigliano una scuola di psicomotricità della durata di 3 anni. Il fatto che i corsi si svolgessero solo nel weekend le rende lo studio compatibile con il lavoro nei giorni feriali: si iscrive. “È stata fondamentale, fornendomi una formazione essenziale e profonda sulla parte emotivo-relazionale,” commenta Anna.

Durante gli studi di psicomotricità hai incontrato per caso un ragazzo neurodiverso… Raccontami la storia di questo incontro.

Io lavoravo in un parco avventura seguendo la parete di arrampicata all’interno di un centro commerciale. I genitori portavano il figlio tutti i giorni al centro commerciale, l’ingresso era libero e lui veniva, provava e si divertiva. All’inizio i genitori non mi hanno detto nulla, poi durante le prove notavo che non riusciva a fare dei passi coordinati e la mamma mi si è avvicinata per tentare di spiegarmi, io le ho detto subito che non c’era alcun problema. In realtà non mi ha detto specificatamente cosa avesse suo figlio. Nell’arco di poche volte sono riuscita a fargli fare l’intera parete, successivamente tutto il percorso del parco avventura e quindi mi sono galvanizzata! Me lo portavano tutti i giorni! E lì ho detto: si può fare.

Ha iniziato a arrampicare con me, poi sono passata a fargli da affidataria. Da lì è partito il filone più verso i ragazzi nello spettro dell’autismo, rispetto ad altre disabilità. Poi il passa parola ha fatto la grande differenza: le altre persone che sono venuta a conoscenza dell’attività erano tutti nell’ambito; e così per 7 anni ho lavorato a Torino in una palestra, con ragazzi ND.

Parliamo del progetto Gli ArrampicABILI che hai portato allo STARWALL Climbing Park di Roma dopo la tua esperienza quasi decennale di Torino. È focalizzato in particolare su certi problemi o è aperto ad ogni tipo di disabilità?

Per quanto romantica, l’idea di abbracciare qualsiasi disabilità alla lunga potrebbe essere meno inclusiva di quanto non sembri. Trovo più corretto valutare seriamente ciò che si è in grado di affrontare e declinare là dove non si è capaci. Non sono d’accordo nell’accettare tutti solo per dire “io faccio scalare chiunque” – sono più della filosofia: si può provare con tutti, anche senza la formazione specifica per quella disabilità, e poi domandarsi “sta funzionando?” E questo vale anche per i ragazzi per cui si ha una formazione specifica. Io sono ormai abbastanza formata sullo spettro dell’autismo e sulla neurodiversità, tuttavia non con tutti i ragazzini ND sono capace perché ogni ragazzo è una persona e ogni persona porta con sé tutto il pacchetto del suo essere persona: idee, preferenze, relazioni e tutto quanto. Quindi non è solo quello che sai a priori che ti fa essere bravo nel tuo lavoro. Ci vuole l’onestà intellettuale di dire: sì sta funzionando o, no non funziona.

Io al momento seguo perlopiù ragazzi nello spettro dell’autismo, ma lavoro anche con ragazzi con patologie psichiche o ragazzi con mutazioni genetiche e quindi patologie rare che hanno principalmente disabilità fisiche e non sono neanche nello spettro autistico. Il punto di partenza con ognuno è domandarsi: posso provarci ma devo valutare se funziona.

Foto: © Elisa Clementelli

Insomma il motto è: tutti possono provare, ma non sempre può funzionare.

Sì, bisogna essere corretti. Bisogna saper guardare in faccia le persone e dire: io arrivo fin qua.

In che maniera secondo te l’arrampicata è utile o positiva per chi è nello spettro autistico?

In primis direi perché funziona. Funziona perché è intuitiva ed è visiva, che è un grande vantaggio. Io non ho bisogno di dire ai miei ragazzi tutto quello che devono fare, ma portandoli nelle condizioni adeguate, loro automaticamente vengono indotti dal loro corpo, dal loro istinto e dal loro intuito a fare determinate cose e questo è gratificante per loro perché si sentono abili – da cui “arrampicABILI” – proprio perché riescono a farlo e riuscendo a farlo continuano a farlo: quindi diventa motivante.

L’altro motivo per cui secondo me è utile, al di là dello sviluppo e del miglioramento motorio che un ragazzino può avere, è che c’è una grossissima parte relazionale che però è – passami il termine – “semplificata”, ovvero si instaurano rapporti uno ad uno: i ragazzini hanno tutti una relazione individuale con l’operatore o con l’istruttore di turno. Al limite si aggiunge un altro ragazzo con cui si arrampica, resta comunque una dinamica a due persone e quindi è anche un po’ più facile imparare a relazionarsi. Dopodiché, ragazzi ND che hanno iniziato in individuale con me, li ho inseriti in corsi di gruppo con neurotipici ed ha funzionato benissimo, sono stati traghettati con naturalezza. Dunque non è detto che devono rimanere in una relazione 1 a 1 con l’istruttore o solo con un altro ragazzo neurodiverso, ma possono essere integrati in gruppi ampi: quello è l’obiettivo!

L’altra cosa che a me piace molto è che si svolge in un ambiente normale, naturale. L’ambiente della palestra non è viziato e vincolato dal fatto che viene frequentato solo da persone neurodiverse. Con i suoi pro e i contro: all’inizio può essere più difficile per un ragazzino ND, ma gli permette di avere un assaggio del mondo che incontrerà una volta terminati i percorsi di terapia, dai 18 anni in su. Quello è il mondo che dovrà affrontare. Questo è un po’ un crocevia: hanno tutti i supporti possibili, ma devono anche affrontare questioni relazionali con tutti quelli che frequentano la palestra e stanno intorno a loro.

Quanto è importante per chi ha un figlio neurodiverso approcciare una cosa come l’arrampicata nella maniera giusta, piuttosto che andare in una palestra qualsiasi e vedere che succede?

Lo è, ma può anche andare molto bene a prescindere, perché non puoi sapere come si sviluppano le relazioni; ci sono persone bravissime anche non formate. Qui abbiamo un istruttore che, pur senza formazione, lavora da anni con un ragazzo ND che ha fatto dei passi da gigante.

Sicuramente la formazione fa la differenza. Mi permette una consapevolezza maggiore del perché faccio le cose e maggiori strumenti, che aumentano ogni giorno di più. La formazione porta a una coscienza più critica derivante dagli anni di studio, esperienza sul campo e supervisioni. Ti permette di comprendere e dare un senso a ciò che vivi in prima persona.

Foto: © Elisa Clementelli

Parlavo dell’arrampicata con altri genitori di bambini ND e una delle cose che sottolineavo, e che trovo estremamente positiva per mio figlio, è che lavora molto su due punti dove lui ha grande difficoltà: il primo è l’attenzione (in parete ti devi concentrare, non puoi non guardare dove metti i piedi, dove metti le mani); il secondo è lo “stare fermi” che detto così suona brutto, ma essendo mio figlio in costante movimento, ipercinetico, il dover valutare stando fermi in parete la decisione dei prossimi passi, lo costringe a dover prendersi del tempo per fare la cosa adeguata. Dunque l’arrampicata riesce a fargli fare due cose che per lui sono difficili: una è concentrarsi per lunghi tempi e l’altra è muoversi poco…

Il vantaggio è che riesci a fargliele fare senza imporgliele. Non è una lezione al tavolino in cui io ti impongo di stare seduto quindi quando poi esci da lì magari se carico a molla e a casa aumentano i comportamenti problema. Sono due aspetti integranti dell’attività, e l’attività per loro è divertente, quindi fa parte del gioco e rientra appieno nella teoria della psicomotricità, la quale parte dall’assunto che il bambino apprende giocando e i bambini ND sono esattamente come gli altri in questo.

Tutti apprendiamo giocando, apprendiamo perché c’è una motivazione dietro. Soprattutto nelle lezioni di piccoli gruppi in cui ci sono due bambini ND: uno deve fare da sicura, un’attività in cui si sta molto fermi e bisogna tirare la corda, bisogna seguire l’altro compagno, essere attenti alle necessità di chi sta scalando, devi instaurare delle piccole comunicazioni, dunque una relazione.

Io ho tantissimi ragazzi non verbali o poco verbali e comunque c’è una comunicazione fra di noi. Loro mi comunicano che vogliono scendere, se sono verbali con le parole, se non sono verbali con dei gesti, ad esempio battendo sulla parete con le mani. Comunque mi arriva la loro richiesta chiaramente, che è un risultato molto importante. Tanti ragazzi ND hanno difficoltà a formulare richieste perché tendenzialmente imparano a fare le cose che gli servono o gli interessano e poi le ripetono, evitando di dire “ho bisogno di qualcosa” che per loro è difficile.

Si insegna a chiedere l’acqua o il cibo, ma è più raro insegnare a dire “ho paura”. Insegnare le emozioni, fargli affrontare le emozioni, sono vari aspetti che fanno parte dell’arrampicata.

Parlavo con Angelo, uno dei due titolari dello STARWALL, di un’idea che forse hai già preso in considerazione: sviluppare un percorso di tutoraggio formando degli allievi neurotipici che col tempo potrebbero seguire dei ragazzi ND. Potrebbe essere un bel percorso di inclusività.

Questo è interessante, ma ad essere onesti la mia visione è quella del gruppo e non tanto quella di un tu per tu. Ad esempio quest’anno ho inserito una ragazza ND completamente non verbale all’interno di un gruppo di neurotipici a cui ho spiegato la situazione. Loro mi hanno fatto alcune domande, ma neanche così tante, non avevano eccessivo bisogno perché ormai nelle scuole sono abituati ad avere ragazzi ND in classe. Però l’hanno accolta benissimo, sono stati capaci di imparare vedendo me senza che io spiegassi pedantemente quali erano le parole giuste, che cosa andava fatto; hanno ripetuto e riprodotto i metodi in maniera adeguata e soprattutto hanno saputo accettarla per quello che è, e in questo senso l’inclusione l’ho già sperimentata e ho visto che funziona tantissimo. I ragazzini, soprattutto quelli più giovani, sono estremamente inclusivi, partecipi, curiosi. È chiaro che hanno bisogno della presenza di un adulto formato che gli sappia spiegare e hanno anche bisogno della certezza di poter chiedere chiarimenti e di tirarsi indietro in alcuni momenti senza causare danni a nessuno.

Però sicuramente l’inclusione deve andare in quella direzione, cioè nell’abituare le persone neurotipiche ad avere a che fare con persone neurodiverse in una maniera sana, ossia evitando di fare leva su un meccanismo di pietà “provo pena per una persona e quindi devo fare del bene”. Deve basarsi sul rispetto: io quella persona non la vedo come diversa da me; è diversa come lo sono le altre 7 miliardi di persona sulla terra ed è simile a me come lo sono gli altri 7 miliardi sulla terra. Quello è il mio obiettivo di inclusione, che significa imparare a gestire lo stare qui, ma anche imparare a dire anche io oggi non ce la faccio, in libertà

Foto: © Elisa Clementelli

Concordo pienamente. Tornando alla peculiarità dell’arrampicata, pensavo che a differenza di altri sport dove c’è quasi sempre un aspetto competitivo legato all’attività (devo fare gol, devo fare canestro, devo vincere, ecc.) per cui la disabilità è spesso percepita come uno svantaggio (il che poi non è necessariamente vero, ci sono pure disabili molto prestanti fisicamente); nell’arrampicata invece, a meno di casi particolari come lo speed climbing agonistico dove c’è un timer e lo scopo è essere il più veloce, in generale non c’è competizione. Io mi faccio la mia parete, arrivo dove devo arrivare, poi tocca a te. In più c’è un aspetto di fiducia: se tu mi devi fare da sicura, io mi devo fidare di te, pure se sei disabile. Quindi si deve instaurare un rapporto estremamente positivo. Lo vedo come un circolo virtuoso quello di introdurre un disabile in un gruppo di neurotipici – una grandissima differenza rispetto ad altri sport

Assolutamente sì! Considera che in un contesto di sola ND, una volta ho messo 2 ragazzi, uno completamente non verbale, classificato a basso funzionamento (poi io avrei molto da ridire su questa terminologia) con un ragazzo ad alto funzionamento verbale, estremamente ecolalico ma con un eloquio coerente. Il non verbale non era mai riuscito a scalare l’intera parete, quando l’altro gli ha fatto da sicura, non solo gli teneva la corda ma da sotto ha iniziato a fargli un tifo da stadio talmente tanto coinvolgente che, per la prima volta dopo due anni che lo seguivo, il ragazzo non verbale è arrivato in cima alla parete! Da lì io ho imparato, tramite un ragazzo ND, la strategia adeguata per permettere ad un mio allievo di arrivare in cima. È stata una cosa incredibile. Ho ancora il video! Sono 3 minuti magici che ogni tanto mi rimbombano in testa. E di questi aneddoti ne avrò 10 mila. Avrò visto nella mia vita circa un’ottantina di ragazzi ND ad oggi.

Dovremmo tutti qualcosa imparare dai neurodiversi.

Verissimo!

Secondo te quali sono le sfide e le difficoltà maggiori in questo lavoro che fai tu, in questa “nicchia” che ti sei creata?

Le sfide sono quelle lavorative. Creare un presupposto lavorativo riconosciuto che è l’altro mio obiettivo. Al di là che sia riconosciuta come terapia o che non lo sia, questa cosa con i ragazzi funziona: gli fa raggiungere traguardi e gli fa apprendere delle cose sia motorie che relazionali, a livello di comunicazione sotto mille aspetti.

Beh a mio figlio fai pure scrivere il nome in parete, in una sorta di pregrafismo acrobatico!

Esatto! Puoi giocarti l’arrampicata come ti pare! E se fosse riconosciuta come la TMA o l’ippoterapia vorrebbe dire per le famiglie poter accedere a supporti economici per far fare l’attività ai figli; le palestre potrebbero accedere a fondi istituzionali, si potrebbe tutti lavorare meglio. I fondi non servono per arricchirsi ma per far funzionare attività per farla pagare meno ai genitori e alle famiglie che sono in difficoltà.

Gli arrampicABILI è strutturato al livello di Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (F.A.S.I.)?

Ancora no, ma io vorrei arrivare a quel livello. Ho proposto alla federazione un progetto di formazione per gli istruttori che vogliono lavorare con la disabilità dando degli strumenti che vengono dal mio percorso individuale. L’idea sarebbe di prendere esperti nel settore che possano formare un istruttore di arrampicata affinché possa lavorare con le disabilità. Ho stilato il progetto, l’ho proposto e inviato. Mi è stato detto che è esattamente ciò che stavano cercando. Quando l’ho inviato la federazione era appena entrata a far parte del CONI quindi mi hanno chiesto del tempo per rispondermi… poi non ne ho saputo più nulla.

Quanto tempo fa l’hai mandato? Conti di rifarti viva con loro… quando?

Questo accadeva 1 anno fa. Si, pensavo di contattarli nuovamente dopo le vacanze estive, raccontandogli i progressi durante l’anno e cercando di capire che intenzioni hanno. Nel frattempo a fine agosto mi metterò in contatto con il comitato paralimpico e col CONI… vediamo… sono positiva.

Quindi difficoltà nel lavoro quotidiano non ne evidenzieresti, perché fanno tutto sommato parte integrante dell’attività?

In realtà non sono difficoltà, non voglio nemmeno usare la parola sfida perché ha un che di competitivo e non sono sfide, sono esperienze nel bene e nel male. Ci sono esperienze super positive di momenti incredibili, ci sono esperienze negative di questi ragazzi che magari non sai subito arginare quindi ti ci arrovelli tutta la notte e giorno dopo. Però sono tutte esperienze: in quello non c’è nessun limite né tratto negativo. D’altra parte se non ti piace un lavoro del genere, non lo fai. Se non ti piacciono i ragazzi per come sono, non lo fai. Non lo fai per lavorare o portare la pagnotta a casa, lo fai perché ti piace quello che stai facendo. Altrimenti dopo una giornata in cui ti hanno urlato addosso tutto il giorno oppure con ragazzi oppositivi tutto il giorno, il gioco non vale la candela, mai per nessun prezzo. Non è mai una questione di prezzo: la questione è divertirsi.

Quali sono le cose che ti riportano ogni giorno a fare questo lavoro? Qual è la gioia?

I ragazzi! Vedere come diventano autonomi. La cosa più bella è intervenire il meno possibile. Io cerco sempre di portarli a fare le cose da soli; a trovare il loro spazio, a trovare la loro dimensione e il loro modo di farsi piacere l’attività. Poi i sorrisi di questi ragazzi, quello che ti insegnano.

Mi piace un sacco la relazione che si crea, il fatto che ti fanno vedere il mondo da un’altra prospettiva, che ti fanno rallentare i ritmi e i tempi e ti fanno andare a un passo molto più lento, molto più umano: quello che ci siamo scordati nella frenesia del 2022. E loro invece te la ricordano. Ti ricordano che per mettersi le scarpe ci possono volere anche 10 minuti e non saranno 10 minuti persi. E per me questo è bellissimo.

Come giudicheresti questo primo anno qui a Roma allo STARWALL Climbing Park?

Molto bene! Direi forse oltre le aspettative. Sono partita da nulla: sono arrivata a settembre; avevo mandato una serie di mail alle associazioni trovate su internet, ma non avevo nessun contatto diretto e poi l’attività è partita e nell’arco di 4-5 mesi sono arrivata da non avere nessuno all’avere 20 ragazzi. Oltre a questi 20 ne avrò visti altri 4-5 che poi hanno smesso per motivi vari. Però tutti gli altri 20 continueranno l’anno prossimo, sono tutti motivati e ne stanno arrivando di nuovi. L’altro giorno mi ha chiamata una mamma perché vuole iscrivere suo figlio. Quest’anno non è riuscita a fargli fare il corso allora mi ha contattata preventivamente. Voleva essere sicura di fare la prova a luglio perché a settembre assolutamente vuol far svolgere queste attività a suo figlio e non vuole che manchino posti. D’altra parte, quest’anno a un certo punto ho avuto anche l’over booking!

Quindi dovrete formare dei nuovi istruttori.

Sì, stanno arrivando nuovi istruttori che verranno formati!

Allora dopo l’estate gli arrampicABILI allo STARWALL si espande?

L’anno prossimo si continua e si cresce! Ci sarà un’altra ragazza, Chiara, che collaborerà con me e che si sta formando in questi mesi. Ultimamente ho realizzato che non devo necessariamente formare gli istruttori di arrampicata portandoli verso la neurodiversità, ma operare in senso opposto, partire dai professionisti del settore (psicologi, terapisti, psicomotricisti, ecc.) che vogliono inserire l’arrampicata nel loro lavoro. Ad esempio ciò che sto facendo con Chiara va in questa direzione, lei è una pedagogista e le sto insegnando a usare l’arrampicata come strumento di lavoro. Io e Chiara opereremo in contemporanea qui allo STARWALL, quindi ci saranno più posti disponibili per i ragazzi. L’idea è di far decollare questo progetto. Metteremo insieme idee per rendere l’attività ancora più strutturata. Io continuerò a lottare fino alla morte per arrivare alla federazione e per arrivare ad uno status istituzionale.

Geniale, affronti la questione partendo dall’altra parte…

Esatto. L’importante è sviluppare il progetto perché poi io sono una sola e non voglio che questa attività sia autoreferenziale. Quest’attività non funziona perché ci sono io in quanto Anna Herd Smith, l’attività funziona perché funziona questo connubio, tenendo a mente determinati paradigmi.

Allora non resta che augurarti e augurare agli arrampicABILI un grande in bocca al lupo!

Intervista a cura di Ricci Fabio e D’Aquilio Larissa

Per informazioni sullo STARWALL Climbing Park:
TEL: +39 06 6574 0786
EMAIL: info@starwall.it

LOCATION: Via Edoardo Maragliano, 5, 00151 Roma RM
Facebook: https://www.facebook.com/starwallclimbingparkroma/

Instagram: @starwall

 Fotografie: Elisa Clementelli
http://www.elisaclementelli.it/

Foto: © Elisa Clementelli

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