Riportiamo un interessante articolo, pubblicato su un altro sito di autismo, e scritto da Claudia Celenza una nostra associata ANGSA. Buona lettura!

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Vorrei iniziare a parlare di alcune realtà italiane in cui si e’ riusciti a portare l’educazione speciale per l’autismo nelle scuole e nelle famiglie, che possono essere replicate in altre città o regioni.

Dopo aver affrontato da sola l’educazione di mio figlio, come molte altre mamme stanno facendo, ho capito che non avrei potuto fare molto per migliorare la situazione, senza entrare in un gruppo esteso di persone con gli stessi obiettivi. Ho deciso per questo di entrare in Angsa Lazio. E’ stata una scelta che mi ha permesso di fare rete con altri genitori più esperti e di conoscere altre realtà territoriali. In Italia stanno nascendo alcune alternative al mercato nell’ambito dell’educazione speciale e dell’abilitazione dei bambini e ragazzi con autismo.

Best PracticesLe definisco best practice in senso relativo: le eccellenze nascono con il tempo, con lo sviluppo delle competenze degli operatori, quando la loro presenza entra nella mentalità delle persone in un certo territorio. L’Italia e’ però un paese in cui le eccellenze ci sono e sono sicura che si possano creare anche nell’ambito dell’educazione speciale per l’autismo.

Oggi possiamo parlare solo di come queste realtà abbiano potuto nascere, ma questo e’ già un gran passo avanti perche’ chiunque voglia replicare queste esperienze nel proprio territorio, avrà a disposizione tutte le informazioni necessarie.

Oggi parlerò dell’esperienza del Comune di Bologna, di cui ho sentito parlare nel forum autismo-scuola gestito da ANGSA in un messaggio della Dottoressa Mariani Cerati, coordinatrice del comitato scientifico di angsa, già dirigente medico del Servizio Sanitario Nazionale.

Le ho scritto una mail qualche giorno fa perche’ nel forum parlava dell’erogazione gratuita per tutti i bambini delle scuole dell’infanzia di Bologna di un intervento educativo basato sui principi dell’aba. C’era una frase per me sorprendente in quella mail:

 “Quando, qualche anno fa, ho detto che l’intervento intensivo precoce comportamentale si poteva applicare in Italia meglio che in America mi hanno riso dietro”.

E’ esattamente quello che penso io.

In una lunghissima telefonata, abbiamo parlato di come pensiamo che debba essere organizzata l’educazione speciale per l’autismo in Italia. Ho avuto la sensazione che lei volesse insegnarmi un mestiere difficile, la stessa che ho avuto alcune volte nel lavoro con quelle persone che poi ho scelto come miei superiori.

Iniziamo la conversazione parlando di una questione molto dibattuta: si tratta di terapia o di educazione?

Si tratta di educazione, un’educazione compensativa della disabilità, quindi non e’ una cura ma uno strumento per acquisire il massimo di abilità utili alla vita presente e futura, con la comunicazione come priorità.

Ma come far arrivare l’intervento educativo nelle scuole?

Le risposte nel contesto italiano possono essere principalmente due. La prima e’ collaborare con le asl, l’altra e’ la collaborazione con i Comuni, che oltretutto forniscono alle scuole le educatrici di sostegno. In questo momento non siamo qui per dire cosa preferiamo. Tutto dipende dalle possiblità che si presentano, sappiamo che allo stato attuale tutto e’ da costruire.

Sappiamo che la differenza culturale rispetto agli USA e’ che in Italia abbiamo la scuola inclusiva. Questo comporterà inevitabilmente la necessità di costruire un modello italiano.

Nell’articolo “Progetti personalizzati per disabili: il caso dell’autismo”, pubblicato su Autonomie locali e servizi sociali (agosto 2008, 267-282) si afferma:

“La buona scelta italiana dell’integrazione nelle scuole di tutti, effettuata dalla Legge Falcucci n. 517 del 1977, ha spesso avuto come effetto collaterale la perdita della specializzazione nella gestione educativa/ abilitativa dei bambini con gravi fabbisogni educativi speciali, come quelli con autismo. L’ipotesi che sottostava all’abolizione delle scuole e delle classi speciali e all’inclusione dei bambini disabili nella scuola e nella classe di tutti era che il contesto, la vicinanza dei coetanei normali, fosse sufficiente a farli progredire, senza bisogno di specializzazione”.

Questa ipotesi nel caso dell’autismo si e’ rivelata fallimentare: i bambini autistici hanno deficit nell’imitazione e nell’apprendimento dall’osservazione dei coetanei. Questo comporta che per permettere loro di apprendere c’e’ bisogno di

“tecniche e strategie tutt’altro che intuitive, che devono essere oggetto di studio e di formazione teorica e pratica specifica da parte degli educatori”.

Nel caso di Bologna queste competenze sono state portate all’interno delle scuole da una consulente ABA col titolo di BCBA, di cui possono usufruire tutti i bambini certificati per disturbi dello spettro autistico dei nidi e delle scuole dell’infanzia del Comune a spese del Comune stesso.

Una criticità importante mi sembra proprio la mancanza di educatori specializzati. Nella scuola inclusiva non c’e’ un supporto continuo di personale esperto (supervisione continua) che invece esiste nelle scuole speciali americane, dove si può iniziare a lavorare anche con pochi giorni di formazione. La scuola italiana si presta poco a modelli organizzativi piramidali e il personale poco esperto o con poche attitudini per questo lavoro che, come descrive benissimo nell’articolo citato, e’ tutt’altro che facile e intuitivo, ha molte probabilità di fallire.

Due esperienze recenti hanno dimostrato che una supervisione esperta nelle scuole è apprezzata e gradita: quella di cui parliamo ora del Comune di Bologna e quella del progetto dei 300 giorni dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna.

Nel territorio regionale esiste, oltre al master ABA dell’Università di Parma, che forma professionisti in grado di lavorare secondo le regole della letteratura scientifica, un master dell’università di Modena e Reggio Emilia, dedicato agli insegnanti e agli educatori. In quest’ultimo master abbiamo ad oggi avuto circa 2000 allievi, provenienti da diverse realtà territoriali italiane, che quindi hanno la formazione per lavorare all’interno di un team che si occupa dell’educazione di un bambino con autismo.

Parliamo più in particolare di ciò che e stato realizzato nel Comune di Bologna.

Il modello che abbiamo presentato, ovvero la consulente BCBA pagata con i soldi dei contribuenti (non importa se questi soldi passano attraverso la Sanità, la Scuola o il Comune, l’importante è che siano soldi dei contribuenti, a Bologna è il Comune) all’interno della scuola, in particolare di quella dell’infanzia se parliamo di EIBI (questa è la sigla in inglese), che dirige, come fa un direttore d’orchestra, il personale della scuola e i compagni, dovrebbe essere la regola. Esiste un contratto del Comune con un’associazione di pedagogisti, Pane e cioccolata, che rende possibile erogare questo servizio. Il contratto tra il Comune di Bologna e l’associazione, di cui è presidente Elena Clò, non è caduto dal cielo. E’ frutto di un lavoro paziente e costante di anni di ANGSA. Noi vorremmo che questo esempio fosse imitato da altri.

Il servizio e’ competamente gratuito?

Sì. E’ gratuita la supervisione che viene fatta all’interno della scuola, alla quale sono invitati a partecipare i genitori in modo da potere utilizzare le stesse strategie educative anche a casa

C’e’ un numero massimo di bambini che possono essere raggiunti dal servizio?

Il servizio e’ disponibile per tutti i bambini che frequentano le scuole dell’infanzia e i nidi del Comune di Bologna.

Come si richiede il servizio?

La presa in carico del bambino avviene con richiesta formale del coordinatore pedagogico d’accordo con la famiglia al coordinatore delle scuole dell’infanzia del comune di Bologna, che attualmente è il Dottor Gabriele Ventura.

Oltre alla presa in carico dei bambini i cui genitori e coordinatori pedagogici ne fanno richiesta, il Comune offre agli operatori dei nidi e delle scuole dell’infanzia un corso annuale, di cinque pomeriggi di tre ore ciascuno, e uno sportello, ovvero una consulenza da parte del BCBA a insegnanti ed educatori che desiderano un consiglio per un problema particolare presentato da un allievo con diagnosi.

Claudia Celenza

 

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