Regolamento per la disciplina degli interventi a sostegno delle famiglie dei minori in età evolutiva prescolare nello spettro autistico
Lo scorso 15 gennaio 2019 è stato adottato dalla Giunta regionale ed emanato dal Presidente Nicola Zingaretti il Regolamento per la disciplina degli interventi a sostegno delle famiglie dei minori in età evolutiva prescolare nello spettro autistico, pubblicato sul BUR due giorni dopo, il 17 gennaio.
Il Regolamento è l’attuazione dell’art. 74 della L. n.7 del 22/10/2018 nel quale già emergono delle criticità. Si fa un generico riferimento alle linee guida per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti senza evidenziare che si tratta della LG21 e che già dal 2011 (data di pubblicazione delle stesse) la Regione Lazio avrebbe dovuto implementare gli interventi raccomandati e ripresi nel c.1 dell’art. 74:
«i programmi psicologici e comportamentali strutturati (Applied Behavioural Analysis – ABA, Early Intensive Behavioural Intervention – EIBI, Early Start Denver Model – ESDM), i programmi educativi (Treatment and Education of Autistic and Related Communication Handicapped Children – TEACCH) e gli altri trattamenti con evidenza scientifica riconosciuta mirati a modificare i comportamenti del bambino per favorire un migliore adattamento alla vita quotidiana».
Avrebbe dovuto, ed invece siamo alla liberalizzazione del privato. Gli interventi riconosciuti dalla scienza come validi e raccomandati, dovrebbero, anzi niente condizionale, devono essere non liberamente scelti dalle famiglie, come si legge nel c.2 («la Regione sostiene le famiglie dei minori in età evolutiva prescolare nello spettro autistico residenti nel Lazio che intendono liberamente avvalersi dei metodi terapeutici indicati») ma proposti in regime di sanità pubblica e disponibili per tutti.
Ecco. Per tutti! Ed invece siamo ancora smentiti: il sostegno è previsto, pur riconoscendo che un intervento precoce ed intensivo nei primi anni di vita è fondamentale per una prognosi migliore, solo con un ISEE inferiore ad 8000 euro. Ma il diritto alla ‘cura’ ed alla salute non va misurato in base al reddito, è un diritto. E l’art. 32 della Costituzione italiana dice esattamente questo: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività».
Ben venga l’istituzione di un ELENCO di operatori e supervisori, che abbiano i titoli, ma anche le capacità empatiche (chi le valuterà? Ma questo è un capitolo a parte), come indicato nell’art.4 del Regolamento:
- Diploma di Laurea (ordinamento antecedente il DM n. 509/99) oppure Laurea specialistica (DM n. 509/99) o Magistrale (DM n. 270/2004) o Diploma di Laurea primo ciclo in: Psicologia, Scienze dell’Educazione e della Formazione, Scienze della Formazione Primaria, Educatore professionale socio-pedagogico e pedagogista, Scienze delle professioni sanitarie della riabilitazione (Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, Logopedista, Educatore professionale socio-sanitario, Terapista Occupazionale);
- Abilitazione alla professione, qualora previsto dalla normativa di settore;
- Specifica formazione post laurea (diploma di specializzazione e perfezionamento, dottorato di ricerca o master di primo e secondo livello, corsi di formazione per tecnici analisti del comportamento) in Applied Behavior Analysis – ABA o in altri programmi di intervento (Early Intensive Behavioural Intervention) – EIBI, Early Start Denver Model – ESDM; Treatment and Education of Autistic and related Communication Handicapped Children – TEACCH
- Competenze ed expertise almeno quinquennali nel settore
ELENCO, dicevo, perché ALBO è altra cosa, e la consigliera Chiara Colosimo, che giovedì scorso, il 14 marzo, ha accolto la nostra richiesta di confronto (di cui la ringraziamo), ci ha confermato che cambieranno la dicitura, anche su sollecitazione dell’ordine degli psicologi.
Chi è in possesso dei titoli e requisiti di cui sopra, dovrà inviare, dalla propria casella di Posta Elettronica Certificata il proprio curriculum, in formato europeo, una sintesi dei titoli, la tipologia di competenza/e, l’area di preferenza di intervento ed indicare il ruolo professionale (operatore o supervisore, per il quale va specificato il possesso degli ulteriori titoli richiesti) al seguente indirizzo di posta elettronica certificata salute@regione.lazio.legalmail.it, o mediante raccomandata a/r indirizzata alla direzione regionale competente in materia di salute e integrazione sociosanitaria, Via Rosa Raimondi Garibaldi n.7, 00145 Roma.
Il tutto entro il 30 marzo. Data che la consigliera Colosimo ci ha anticipato verrà prorogata, visti i tempi ristretti e la scarsa informazione che è seguita alla pubblicazione del Regolamento. Naturalmente sarà successivamente prevista una scadenza di inserimento annuale; e si sta valutando se prevedere la possibilità di un aggiornamento degli elenchi anche semestralmente: cosa auspicabile.
L’esame e la verifica della documentazione avverranno comunque, a partire dal 30 marzo, a cura di una commissione, da costituire, in cui saranno rappresentate sia l’area delle politiche sociali che di quelle sanitarie, facenti capo rispettivamente ai Direttori Antonio Mazzarotto e Renato Botti.
Il Capo III del Regolamento riguarda più propriamente le famiglie ed il sostegno previsto per supportare la tempestività, l’intensività e la specificità di intervento, e nell’art.9 si individuano i criteri di priorità per poter rientrare nel beneficio:
– ISEE pari o inferiore ad 8000 euro
– più di un figlio nello spettro.
Si parla di PRIORITA’, quindi questo vuol dire che potranno presentare la domanda anche le famiglie che superino quel valore dell’ISEE, e chi ha solo un figlio autistico. Ciò che è inequivocabile è che il supporto alla singola famiglia non potrà superare in ogni caso i 5000 euro, in considerazione non solo dell’indicatore economico del nucleo familiare, ma anche del Progetto di vita della persona (questo sconosciuto! Il quale però può e dovrà essere richiesto da tutte le famiglie ai rispettivi Comuni, come specificato anche dal D.Lgs. n.66 del 2017, i cui decreti ministeriali in fase di approvazione da parte del Ministero Economia e Finanza), e quindi dei servizi già attivi per quella singola persona. Ciò significa, che tra un bambino preso in carico da una struttura pubblica che fa parallelamente un intervento cognitivo comportamentale nel privato ed un bambino che fa solo un intervento comportamentale, verrà data la precedenza a quest’ultimo.
Va da sé che i requisiti per ottenere il sostegno, a fronte della rendicontazione delle spese sostenute, siano quelli di essere residenti nella Regione Lazio, di avere una figlia/o che non abbia compiuto 6 anni e che abbia una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, e naturalmente che per gli interventi ci si sia avvalsi della prestazione di uno o più professionisti iscritti al costituendo ELENCO (Albo).
Le domande dovranno essere presentate dalle famiglie (sicuramente dopo la pubblicazione degli elenchi dei professionisti, visto che vanno indicati nella istanza) al comune di residenza, ma le modalità di accettazione delle stesse ancora non sono state definite. La consigliera Colosimo ci ha riferito che l’Assessorato regionale alle politiche sociali (al quale saranno in capo i 3 milioni di fondi stanziati per il sostegno alle famiglie) sta preparando una nota da inviare a tutti i Comuni. Le domande saranno valutate dai comuni di residenza e, secondo quanto è scritto nell’art. 10, se idonee, il comune stesso programmerà con TSMREE territoriale una valutazione multidimensionale. Ora, se il bambino ha la diagnosi, avrà già effettuato una valutazione e se anche fosse stata fatta in una struttura riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale (per es.: OPBG, PTV, Gemelli, Campus Biomedico, etc.) avrebbe comunque lo stesso valore e al limite potrebbe esserci solo un passaggio di presa in carico da parte della ASL di riferimento, altrimenti vorrebbe dire allungare ancora di più i tempi e sovraccaricare ulteriormente il sistema. Ricordiamo che la qualificazione e la quantificazione dell’intervento viene fatta anche dalla struttura di terzo livello. In base a queste proposte verrà in pratica definito l’ammontare del contributo economico alla famiglia.
A questi passaggi da chiarire, nell’art. 10 si aggiunge una macroscopica confusione tra supervisore e case manager. Fino ad ora si è sempre parlato di operatori/tecnici e supervisori, dei quali le famiglie dovranno indicare i nominativi nella domanda. Qui all’improvviso il supervisore sembra diventare il case manager e viceversa. Ed infatti, la stessa consigliera Colosimo, ci ha confermato il qui pro quo nell’uso della terminologia. Altrimenti sarebbe un ulteriore professionista da stipendiare e da rendicontare.
Ultima chicca, nell’art. 11 è il riferimento al monitoraggio ed al controllo da parte della direzione regionale, che per carità, sarebbe ed è sacrosanto, ma toglierebbe (toglierà???) altre risorse alle già poche da destinare alle famiglie. E poi, da parte di chi materialmente verrebbe fatto?
Nell’art. 13 si fa riferimento alla promozione della formazione specifica, ma non ci possiamo più accontentare solo della promozione, la formazione deve essere alla base di chi sceglie di intraprendere la professione di operatore sanitario o di educatore/insegnante! E poi questa promozione, attivata con il supporto dell’Istituto Superiore di Sanità e delle ASL, dovrebbe essere coordinata dal Coordinamento regionale della Rete Interistituzionale Disturbi dello spettro Autistico che era stato introdotto dalla delibera di Giunta regionale, la DGR n. 75 del 13/02/2018, e di cui ancora non si vede traccia.
Certo si potrebbe dire: «Eh ma non vi accontentate mai, vi lamentate sempre». Invece no. Questo vuol essere, oltre che una analisi dettagliata e ragionata del regolamento, il pungolare la Regione. Rendere chiaro che per fare bene c’è bisogno di raccordarsi con gli stakeholders. E gli stakeholders siamo noi, le famiglie e le persone nello spettro: tanti piccoli errori e sviste o comunque passaggi inappropriati all’interno del regolamento potevano naturalmente essere ovviati se ci fosse stato un confronto con le associazioni. Anche questo è fare rete! Nulla su di noi, senza di noi! Dovremmo dare più consistenza a questo slogan, perché non rimangano solo parole.
Criteri così limitanti non danno assolutamente alcun tipo di risposta alla platea a cui si dovrebbero rivolgere gli interventi scientificamente validati e in questo modo il “diritto alla cura” diventa per pochi e non viene rispettato perché comunque avranno accesso al sostegno solo le famiglie più disagiate (o magari in qualche modo spinte ad aggirare la limitazione). Questo tipo di interventi, che sono quelli raccomandati dalla Linee Guida 21, ripetiamo, devono essere garantiti nel pubblico ed a tutti. Quei 3 milioni stanziati (che dovevano essere 10, come sottolinea la consigliera Colosimo) suddivisi, rappresenteranno un piccolo piccolissimo supporto, oltre al fatto che 5000 euro costituiscono il tetto massimo, come specificato sopra, sempre e comunque a fronte di rendicontazioni da parte delle famiglie almeno triple. Perché un intervento cognitivo comportamentale intensivo non può che partire da almeno 1200 euro mensili, soprattutto se garantito da professionisti con i titoli richiesti, giustamente, dal regolamento nell’art.3. Fondamentale, invece, è investire sul pubblico e non incentivare il privato e inevitabilmente il business!
Quindi il pungolo è sul fare sempre meglio. Questo è un piccolissimo passo ma da qui bisogna partire per raddrizzare la via. Abbiamo chiesto un audit in Commissione sanità e in Giunta regionale per ragionare sul fatto di ottimizzare le risorse, risorse che ci sono ma che purtroppo vengono spesso sprecate nella regione Lazio finanziando progetti spot e/o progetti che non rispondono alle raccomandazioni della Linea Guida 21 e questo continueremo a denunciarlo all’infinito: vengono finanziati progetti che ancora fanno credere alle famiglie di essere causa dell’autismo dei propri figli, intervenendo sui bambini e ragazzi nello spettro con approcci psicodinamici, non scientificamente validati ed anzi, superati.
Non possiamo più accettare come risposta alle nostre domande che il problema è la mancanza di fondi. I soldi ci sono ma vengono investiti male. La persona nello spettro dell’autismo non deve essere tirata fuori dal guscio, deve essere abilitata ad acquisire quelle competenze che non ha e su questo che dobbiamo lavorare, sulle autonomie, perché investire oggi vuol dire risparmiare soldi sull’assistenza di domani! Ma tutti devono essere messi nella condizione di abilitarsi, tutti nel pubblico. E’ la sanità pubblica che se ne deve fare carico. E, fondamentale, si è autistici per tutta la vita.
Devono cambiare gli interventi, le modalità di intervento vanno calibrate sulla crescita della persona e va garantito anche all’adolescente, al giovane adulto e all’adulto un percorso verso quelle autonomie che permetteranno ad ognuno di loro di vivere dignitosamente nell’ambiente di vita e non in una struttura ghettizzante. Per vedere realizzato “il dopo di noi” che tutti i genitori si augurano per il proprio figlio, si deve lavorare bene sul “durante noi”!